Alessandro Strato è uno pseudonimo.
Chi si nasconda dietro questo nome non sappiamo, se si tratti di una persona in carne e ossa oppure di un collettivo, ragion per cui scarni sono i tratti della sua biografia qui consentiti. Alla fine però poco importa. A noi interessa leggere quello che Alessandro scrive.
Perché abbia scelto l’anonimato, neanche questo ci interessa. Per motivi legati alla sua vita privata o al suo lavoro? Perché quello che racconta potrebbe, in certa misura, metterlo in difficoltà o in pericolo negli ambienti che frequenta? Anche questo, purtroppo, non siamo in grado di dirlo.
Sappiamo che è di Roma ma anche questo è un particolare che l’autore afferma essere di poca importanza perché svariate sono le città in cui ha vissuto, tanto da rendere difficile oggi rispondere alla domanda: “Da dove vieni?”.
Il suo lavoro, giura, non ha influenzato il suo percorso come scrittore, semmai lo ha stimolato al contrario (un giorno ci faremo spiegare cosa significhi). Se glielo chiedi dice che ha iniziato a scrivere solo quando è scoccata nella sua testa quella storia, in cui ha riversato ogni cosa – tutto quello che ha fatto, che ha visto, che ha studiato, che qualcuno un giorno gli ha raccontato… – mescolandola poi in maniera imprevedibile, che mai si sarebbe aspettato potesse accadere.
Vicende crude, violente, nello stesso tempo vibranti di vita, esaltate da una carica introspettiva che scava in profondità in ogni personaggio e, nel farlo, tratteggia le nostre paure più profonde, i tabù più radicati, le sofferenze più nascoste, dando sfogo e spazio a parole, forse, mancanti. Potenza espressiva al servizio di narrazioni che, trasfigurate e dolenti, attraversano i generi perché anche la vita lo fa, e mira a un unico obiettivo. Non celare mai nulla, come una telecamera perennemente accesa sulla scena o uno scienziato immerso nel suo campo d’indagine, in un realismo spietato ma cauto, perché mai giudicante.
Ecco, questo è Alessandro.
Maladentro, solo l’inizio.
E quella storia continua.